Da Città del Messico un contributo sulle lotte e le esperienze di complicità tra fuori e dentro

Come compagni e compagne che da anni siete parte della solidarietà anarchica con i prigionieri politici in Messico, a Città del Messico come è la realtà che vivete? L’unico prigioniero politico anarchico imprigionato è Jorge Esquivel.
Miguel Peralta è fuori dalle loro mura…

Un saluto a tutti e tutte le compagne li presenti, un forte abbraccio a voi, a questa possibilità di incontro per la solidarietà internazionale e complice. Da me, dai compagni e dalle compagne che da anni sentiamo il calore di questo legame che ci unisce nelle lotte che vogliono la distruzione del carcere, perchè esempio di tutto questo putrido sistema che ne è il suo principale sostenitore.

Jorge Esquivel è un compagno anarchico della comunità Punx, qui a Città del Messico.

Fa parte, è membro e partecipa all Okupa Che. L’Okupa Che è uno spazio autogestito, libero e autonomo, qui a Città del Messico da oltre 25 anni. È un auditorium – per darvi un’idea migliore, un auditorium all’interno dell’Università, dentro l’Università Nazionale Autonoma del Messico.

In primo luogo, quello spazio fu occupato dal movimento studentesco al termine di una lotta, la “huelga” durata nove mesi contro la privatizzazione dell’accesso all’università. Col tempo, i collettivi studenteschi se ne andarono gradualmente e, principalmente, rimasero gruppi libertari, tra cui gruppi Punx e legati alla cultura Punx che iniziarono a gestirlo, organizzando attività, presentazioni di libri, concerti e incontri.L’ auditorium Che Guevara, come spazio, o “Okupa Che”, come è oggi conosciuta, è stato storicamente anche un luogo di incontro per i movimenti sociali e popolari in Messico, a partire dal movimento studentesco del ’68 e dagli scioperi universitari, e ha aperto le sue porte ad altri movimenti, come il movimento zapatista dell’epoca.

Jorge è stato un membro molto attivo di Okupa Che, partecipando a diverse iniziative, come la mensa vegetariana, il cineforum e altre ancora. È anche importante notare che l’Okupa Che esiste da oltre 25 anni – 25, proprio quest’anno – ha sempre mantenuto la sua identità autonoma, autogestita e che ha sempre resistito ai tentativi del rettore universitario di sgomberarla per riappropriarsi di questo auditorium. I tentativi sono stati dagli attacchi mediatici, ai tentativi di accusare o di accuse vere e proprie nei confronti di vari membri di Okupa Che, e l’ Okupa stessa, di essere un luogo di spaccio di droga, e che i suoi occupanti fossero degli spacciatori.

Hanno anche tagliato molte volte la corrente elettrica, l’ acqua e i servizi pubblici, che ogni volta sono stati ripristinati grazie all’ autogestione. Abbiamo ricevuto anche attacchi fisici e tentativi di sgombero, come avvenuto in un’occasione in cui gruppi organizzati di attacco “porros”supportati e finanziati dal rettore sono entrati, hanno picchiato gli occupanti e hanno tentato di sgomberare l’auditorium. Tuttavia, grazie a una grande solidarietà, lo spazio è stato difeso e mantenuto autonomo. Concettualizzare cosa sia Okupa Che e il contesto che la circonda, è importante per comprendere la detenzione di Jorge Esquivel, inizialmente arrestato nel 2016 con l’accusa di essere uno spacciatore.

Fu arrestato nei pressi delle dell’ Okupa, nella Ciudad Universitaria e trasferito inizialmente in carcere, poi la Procura Generale lo ha trasferito in un carcere di massima sicurezza nel nord del paese, a diverse migliaia di chilometri di distanza, con l’accusa di spaccio di droga. Il carcere in cui fu inizialmente detenuto era un carcere di massima sicurezza, dove vengono detenuti i leader o i capi di gruppi criminali, i cartelli della droga, proprio lì, il nostro compagno Jorge fu inizialmente incarcerato. Fortunatamente, grazie al lavoro legale e alla solidarietà, il tribunale ha dovuto ribaltare l’accusa e il nostro compagno è stato rilasciato.

Ma è stato un po’ come il caso del nostro compagno Miguel Peralta, di cui abbiamo parlato. Beh, non so se fosse correlato, ma dopo il rilascio di Jorge, anni dopo, gli è arrivata una notificata, dal tribunale, che sosteneva che la Procura della Repubblica, non era d’accordo con la decisione del giudice, e a seguito del ricorso, il giudice ha nuovamente emesso un mandato d’arresto per il nostro compagno Jorge. Dopo circa tre o quattro anni di libertà, hanno emesso un altro mandato d’arresto, e lui è stato nuovamente arrestato dopo aver lasciato l’Okupa Che.

Lo arrestano, ma questa volta lo mandano in un carcere di Città del Messico, qui al Recursorio Oriente. Questa volta l’accusa viene rimodulata, non più un reato federale, come la prima volta, per la quale fu mandato in un carcere di massima sicurezza, ma piuttosto di un reato comune, locale, equivalente allo spaccio di droga, a qualsiasi vendita di droga. Lo scorso dicembre, Jorge ha trascorso tre anni in carcere, rinchiuso.

Attualmente è condannato a sette anni e sei mesi, di cui ne ha già scontati tre. Durante questo periodo, sono state svolte diverse azioni e attività di solidarietà, non solo qui a Città del Messico, ma anche in diverse parti del paese, in questa regione, e siamo in attesa del ricorso presentato dagli avvocati. È stata presentata un’ingiunzione affinché il giudice prenda in considerazione una serie di irregolarità nel processo, poiché le accuse contro il compagno sono evidentemente false. Non è coinvolto nello spaccio di droga, ma fa parte di una campagna politica contro OKUPA-CHE, contro gli spazi autonomi, contro gli spazi libertari, e stanno usando il nostro compagno Jorge come capro espiatorio, come lo chiamiamo noi. Lo stanno punendo, lo stanno rinchiudendo, come un modo per attaccare o continuare ad attaccare l’OkCUPA.

Jorge ha mantenuto una ferma resistenza all’interno del carcere, è rimasto saldo nei suoi ideali e stiamo aspettando la sentenza d’appello. Speriamo che, forse, grazie a questo appello, il nostro compagno possa essere nuovamente rilasciato. Ma nel frattempo, le azioni e le attività continuano, e continuano a esserci chiamate e iniziative per continuare ad esprimere solidarietà e sostegno a Jorge.

D: La solidarietà e la lotta dall’interno e dall’esterno, negli anni. Le esperienze, le lotte e i prigionieri politici dell’ultimo decennio.

Per questo è necessario tornare un po’ indietro nel tempo, più o meno al 2012. Un po’ prima, esattamente, forse anche un po’ di contesto, perché il 2012 ha segnato l’inizio di un momento, un periodo di grande persecuzione politica e giudiziaria e una presa di mira del movimento anarchico e di alcuni gruppi e individui anarchici in particolare.

In seguito a quanto accaduto il 1° dicembre 2012, nel contesto della presa del potere da parte dell’allora presidente Enrique Peña Nieto, scoppiarono una intensi di scontri e rivolte nelle strade del centro storico della città, individui, compagni e compagne, persone dei quartieri, gruppi, organizzazioni, esprimevano malcontento, e si scontravano con la polizia. Ci furono tanti danni e molti scontri. Quello stesso giorno, il capo della polizia di Città del Messico si presentò sulle tv nazionali per denunciare i responsabili di quei disordini, i responsabili di quegli scontri. Indicò diversi gruppi, e questo aprì una fase di persecuzione, di accuse politiche e giudiziarie contro gli anarchici in generale.

Da quella situazione, da quel clima, credo– mi soffermo brevemente – che emerga la logica di creare un nemico interno per attuare politiche di controllo sociale e repressive da parte del governo. Vale a dire, giustificare misure di polizia come l’installazione di telecamere negli spazi pubblici, protocolli di controllo della folla durante le manifestazioni, in breve, una serie di misure di polizia e repressive giustificate con la scusa di controllare gli anarchici. Quindi, credo che questo fosse il contesto di queste politiche all’epoca, ma proprio per giustificarlo, decisero di scegliere di arrestare in alcuni momenti specifici, come la marcia del 2 ottobre anniviersario del massacro di Tlatelolco dove furono uccisi centiania di studenti, il 2 di ottobre del 1968.E’ una marcia molto ampia e numerosa a cui parteciparono diverse organizzazioni sociali, di base, studentesche e di altro tipo.

E dove il blocco nero, il blocco anarchico, era costantemente sorvegliato e perseguitato. Diversi compagni vennero arrestati in questi contesti di mobilitazioni e cortei. Come Fernando Bárcenas, Abraham López e altri compagni di cui parleremo più avanti.

È anche importante ricordare che in questo contesto che si sviluppa maggiormente la cosiddetta “tendenza informale” all’interno dell’anarchismo e di gruppi insurrezionali e d’azione che innondarono la città con azioni di sabotaggio e attacchi contro i simboli del potere e del capitale. Questo è il contesto di cui stiamo parlando, all’incirca dal 2012 al 2016. E proprio in quel periodo, diverse compagne, furono incarcerate per vari motivi, sia perché arrestate durante queste marce, sia arrestate dopo aver compiuto alcune di queste azioni contro i simboli del potere.

C’erano anche diversi compagni che erano in prigione. Alcuni di loro nella stessa prigione. Qui a Città del Messico ci sono quattro prigioni: quattro maschili e due femminili. Alcuni erano nella prigione nord, altri in quella est e alcuni in quella sud.

Ce n’erano diversi in diverse carceri. C’erano anche compagne nel carcere di Santa Marta, che è il carcere femminile. E bene, in quel contesto, all’interno di queste carceri e a causa della presenza dei compagni che erano stati arrestati in diverse situazioni, è iniziata una serie di lotte e di resistenza all’interno del carcere, contro la prigione, a volte contro la reclusione, ma anche per la libertà, per la loro libertà.

Nello specifico, beh, parlerò di due, tre esperienze. Una è stata, credo, la prima esperienza di coordinamento tra compagni anarchici, detenuti in carceri diverse, per realizzare un’azione contro il sistema carcerario, che si è concretizzata in uno sciopero della fame. A quello sciopero della fame hanno partecipato un compagno che si trovava nel carcere orientale, Carlos López; due compagni che si trovavano nel carcere settentrionale, Fernando Barcenas e Abraham López; e un compagno che era detenuto in un carcere di Oaxaca, Miguel Peralta.

Quei cinque compagni, anche con Luis Fernando Sotelo si sono riuniti e lo stesso giorno hanno iniziato uno sciopero della fame contro il sistema carcerario.

Si è trattato di uno sciopero della fame particolare perché, in genere, e non lo dico in alcun modo per denigrare, gli scioperi della fame perseguono generalmente un obiettivo specifico, che si tratti di miglioramenti all’interno del carcere o del carcere stesso, o di una pressione diretta per il rilascio del/i detenuto/i. In questo caso, lo sciopero non è stato uno sciopero di protesta in tal senso, ma piuttosto ha cercato, attraverso l’utilizzo dello sciopero della fame, di denunciare e rendere visibile la natura del sistema dei carcerario come meccanismo di dominio all’interno del sistema capitalista. E, d’altra parte, è stato uno sciopero di protesta contro quei meccanismi che il carcere usa per spersonalizzare, spezzare la persona, trasformarla non in una persona, ma in un numero o in un oggetto che non può fare altro che obbedire agli ordini all’interno del carcere e disciplinarsi.

Quindi aveva anche quel carattere. Questi cinque compagni si sono uniti e hanno intrapreso uno sciopero della fame. Due compagne anarchiche non hanno aderito allo sciopero della fame, ma hanno mostrato la loro solidarietà con un’azione all’interno del carcere, nella sala da pranzo, dipingendo graffiti che esprimevano la loro solidarietà ai compagni in lotta.

Erano due detenute nel carcere di Santa Marta, Amelie e Falón. Questo sciopero della fame, non avendo un obiettivo specifico, ma piuttosto una protesta e una rivendicazione, non è durato più di 15 o 20 giorni. Perché non era intenzione dei detenuti stremarsi o mettere a rischio la propria salute, ma semplicemente fare questa dichiarazione politica contro il carcere.

Questo sciopero è stato accompagnato e sostenuto da varie manifestazioni e azioni di solidarietà nelle strade. Proprio perché a volte parliamo di dentro e di fuori, come se noi fuori dal carcere fossimo liberi, ma siamo comunque soggetti a questo sistema capitalista. Questo sciopero è stato accolto e sostenuto e rivendicato con vari gesti e azioni nelle strade.

È stata un’esperienza molto arricchente, sia per il coordinamento dei detenuti nelle diverse carceri, sia per la natura stessa dell’azione, sia per il sostegno e la solidarietà che sono stati forniti all’esterno. Ci sono stati cortei, raduni, incontri, blocchi stradali, picchetti, scioperi e la solidarietà si è espressa in una moltitudine di modi. Questo è stato molto importante.

Successivamente, un’altra esperienza di lotta, organizzazione e resistenza all’interno del carcere: la “il coordinamento Informale dei Prigionieri in Resistenza, o CIPRE, come veniva chiamato. Mi sembra che riecheggiasse quell’esperienza di organizzazione e coordinamento che si era sviluppata tra i prigionieri anarchici in diverse carceri. Questa volta si trattava di prigionieri politici; non tutti anarchici, ma che erano stati detenuti nel contesto delle manifestazioni del 2 ottobre o delle proteste contro l’aumento delle tariffe dei trasporti pubblici.

Come nel contesto delle proteste, queste compagne e compagni erano statei arrestati e detenuti in diverse carceri, principalmente nel carcere orientale e nel carcere femminile di Santa Marta. Decisero di coordinarsi e di organizzarsi formando questa organizzazione informale, chiamata “Coordinatrice Informale”, e lanciarono una serie di rivendicazioni. In questo caso, lo fecero, a esempio, denunciando con azioni la collaborazione delle istituzioni carcerarie con gruppi di criminali organizzati, garantendo loro lo spaccio e il consumo di droga all’interno delle carceri. Denunciarono anche una serie di violenze e percosse da parte delle guardie carcerarie. Oltre denunciare t questo sulle condizioni carcerarie, in questo caso chiedevano il rilascio delle membri del CIPRE. Inizialmente, questo coordinamento era composto da prigionieri politici, ma gradualmente, principalmente nel carcere settentrionale, si unirono anche compagni che non erano state detenuti nel contesto di manifestazioni o azioni politiche, ma erano piuttosto cosiddetti prigionieri sociali, prigionieri comuni, che gradualmente si iniziarono ad interessare, ad organizzate, ed in qualche modo divennero politicizzati e coordinati all’interno della coordinatrice informale.

E’ stato lanciato uno sciopero della fame, per denunciare queste condizioni carcerarie e chiedere il rilascio dei membri del coordinamento. A poco a poco, sono stati rilasciati perché la situazione legale dei prigionieri è stata risolta, o perché sono stati assolti o perché, essendo stati detenuti in questi contesti politici, la maggior delle accuse a loro carico era inventata o manipolata.
La compagna Jacqueline, il compagno Brian e il compagno Julián sono stati rilasciati. Non ricordo tutti i loro nomi, ma continuavano man mano ad essere rilasciati.

Alla fine, solo il compagno Fernando Bárcenas e il compagno Abraham Cortés, che erano imprigionati nel Carcere del Nord, rimasero in carcere. Abraham, arrestato durante una marcia per il 2 ottobre, e Fernando Bárcenas, arrestato durante una manifestazione contro l’aumento delle tariffe dei trasporti pubblici e accusato di aver dato fuoco a un albero di Natale che decorava Avenida Reforma.
La sua permanenza diede vita ad un’altra esperienza di organizzazione e lotta che in seguito avrebbe avuto un peso e una portata molto maggiori: i prigionieri di quel coordinamento iniziarono a scrivere un giornale, prodotto, scritto e realizzato a mano da loro.

Cosa intendo per “fatto da sé”? Lo facevano a mano, perché ovviamente in prigione non avevano accesso a computer, programmi di grafica o cose del genere. Tutto, dagli articoli, erano scrittoi a mano, facevano anche delle illustrazioni e dei disegni Questo giornale si chiamava El Canero.

“Cana” è il nome che si dà alla prigione qui in Messico. Chi è in prigione o ha qualcosa a che fare con la prigione è considerato “canero”. Quel giornale è nato in quel contesto.

Ma quando Cifre e le persone che ne facevano parte furono liberate, solo Fernando Bárcenas rimase in carcere perché alla fine fu rilasciato anche Abraham Cortés. Fernando iniziò a organizzarsi e a formare una comunità con altri prigionieri all’interno carcere Nord. Non erano prigionieri politici, perché non erano incarcerati per rivendicazioni politiche, ma piuttosto, ancora una volta, erano i cosiddetti prigionieri sociali o prigionieri comuni. Iniziarono a riunirsi attorno a questo giornale, El Canero, e da lì emersero varie iniziative o proposte, varie esperienze di lotta e organizzazione all’interno del carcere, come il Comando Cimarron.

Il Comando Cimarron era una band hardcore punk formata da alcune detenuti che facevano parte di questo collettivo, riuscirono anche a registrare e pubblicare una registrazione di alcune canzoni, dovuto anche alle condizioni del carcere, che permettevano, se si avevano i soldi di farlo, ovviamente di qualità molto bassa, ma, e ancora una volta, la cosa interessante è che si tratta di canzoni scritte da loro in carcere e registrate in carcere, quindi anche di questa esperienza è rimasta anche questa registrazione dei Comando Cimarron. Allo stesso tempo, avevano questo giornale che continuava, che era iniziato in forma differente ma che continuava. Ci furono, se non ricordo male, quattro numeri, e ancora una volta, da fuori il legame, il supporto, la solidarietà e la complicità tra questi compagni che erano in carcere e alcuni compagni nelle strada si dava anche con la digitalizzazione, l’impaginazione e la stampa. Era importante la pubblicazione di questi scritti, riprodurre questo giornale, che veniva distribuito sia per strada che all’interno delle carceri.

Alcune copie sono state rimandate indietro, perché c’era molta attenzione dagli agenti, dai carcerieri, che se le vedevano, le sequestravano.Ma molte sono riusciti a farle passare comunque! È così che siamo riusciti a riprodurre il giornale e a distribuirlo. Ci sono state anche alcune attività per presentare questo giornale in vari luoghi. Quindi, beh, è ​​stata anche un’esperienza interessante, perché non era mai successo prima, almeno non in questi termini, di una collettività, una comunità all’interno delle carceri, all’interno del carcere, che lottava in modo organizzato, resistendo alla reclusione attraverso la creatività, l’espressione musicale e artistica, ma anche attraverso la riflessione e l’analisi. Il canero conteneva le loro riflessioni, le loro analisi del carcere, le loro esperienze, l’esperienza della reclusione, ma tutto questo si dava anche attraverso la resistenza con i loro corpi. Il fatto che questi compagni si siano organizzati, si siano uniti, abbiano creato questa collettività, questa comunità, non è stato ben accolto dagli agenti, dall’amministrazione penitenziaria, e sono stati costantemente attaccati e provocati, non solo dagli agenti ma anche da altri detenuti.

E qui è importante ricordare che nelle carceri messicane, e suppongo anche altrove, ci sono questi prigionieri che lavorano, forse non ufficialmente o istituzionalmente, ma è noto che lavorano o rispondono all’istituzione. Sono i cosiddetti “borrego negro” o pecore nera, o simili a pecore, che svolgono questo ruolo di guardiani, di controllori quando i guardiani e le guardie dell’istituzione non sono presenti. Questi prigionieri provocavano e attaccano costantemente i compagni, spesso arrivando persino a provocare scontri. Quindi, di conseguenza, per la sua “sicurezza”, secondo l’istituzione, Fernando Bárcenas è stato tenuto in isolamento per lungo periodo, da solo, , sostengono per la sua sicurezza. Tuttavia, questo non ha impedito all’collettivo di continuare a funzionare, alla comunità di continuare ad andare avanti.

Funzionavano così, come una comunità all’interno del carcere, e credo che sia importante menzionarlo, perché il carcere ha proprio questo scopo: spezzare una persona, spezzare lei e i suoi legami di solidarietà, isolarla. Il fatto che questa comunità si sia creata all’interno del carcere è stato anche, in un certo senso, un modo per affrontare e rispondere a questi meccanismi di confinamento e isolamento. Quindi, beh, è ​​stata un’esperienza molto interessante di organizzazione e resistenza. Alla fine, anche i compagni che facevano parte del Comando Cimarrón, che avevano partecipato al Canero, hanno iniziato ad andarsene.

Fernando Bárcenas è stato finalmente rilasciato dopo quasi quattro anni di carcere, e dimenticavo un’altra esperienza organizzativa, ovvero la creazione della Biblioteca José Tarrío, all’interno del carcere, e questo anche grazie alla solidarietà di molti compagni, di molti collettivi che hanno donato libri, che hanno donato fanzine, opuscoli, pubblicazioni, e che questa comunità, questo collettivo all’interno del carcere, era riuscito a ottenere uno spazio all’interno del carcere per avere questa biblioteca, una biblioteca, uno spazio dove venivano altri prigionieri, e potevano prendere libri, leggere pubblicazioni, non solo anarchiche, ma in generale di altro tipo, e che sebbene ci fosse una biblioteca all’interno del carcere, funzionava anche e soprattutto come uno spazio di incontro, e uno spazio all’interno del carcere stesso,in uno spazio di “libertà”. Purtroppo, il Commando Cimarrón non ha continuato ad esistere ora che i compagni sono liberi. El Canero, non ha avuto seguito. Né dai compagni che sono stati rilasciati, nè dai detenuti che rimanevano dentro, né dalle persone fuori. E’stata un’esperienza importante che è durata per un tempo ed è finita. La biblioteca, quando è stato rilasciato Fernando Bárcenas, l’istituzione carceraria, la direzione del carcere ha deciso di appropriarsi della biblioteca, le ha cambiato nome, ha rimosso il nome della biblioteca José Tarrío, e l’ha presentata come una sua istituzine. Quindi, sfortunatamente, anche quella è andato persa., Stiamo parlando di tutto questo che è successo proprio in quel contesto dal 2012 al 2016. Tutte queste esperienze sono terminate con il ritorno in strada degli ultimi compagni. Sono come tre esperienze di organizzazione, di letterale resistenza dal carcere, di accompagnamento anche fuori, nelle strade questo, attraverso azioni, manifestazioni, eventi di solidarietà, ma anche di creazione di queste reti di complicità per far circolare questi materiali che tanto il Canero, quanto le registrazioni del comando Cimarron, dimostravano che era possibile realizzare questa coordinazione tra i prigionieri, nonostante fossero in prigioni diverse.

Emilio – compagno anarchico di CNA -Mexico-

SEGUIRA’: DISCUSSIONE SU MIGUEL PERALTA INDIGENO ANARCHICO LATITANTE- LA SUA LOTTA, LA NOSTRA SOLIDARIETA’ E COMPLICITA’

OPUSCOLO MIGUEL PERALTA

Solidarietà con Miguel Peralta Miguel Peralta e por la distruzione del sistema carcerario

QUI GLI ARCHIVI DEL CANERO:

https://archive.org/details/canero-02

https://archive.org/details/canero-3-leer

https://archive.org/details/canero-4